(mosfet it means metal oxide silicon field effect transistor)
(Dom. 66) Il mosfet di potenza se non c'era bisognava inventarlo.
Fortuna che già c'è. Infatti i Bjt al crescere di Ic presentano una cospicua diminuzione di hFE che diviene dell'ordine di una decina. Se Ic vale 1 A si deve alimentarlo con una Ib di un centinaio di mA. E così crescendo. Decisamente troppo oneroso per i circuiti di pilotaggio del finale vista l'entità della potenza in gioco. L'ingresso del mosfet è capacitivo: quindi non assorbe corrente in condizioni statiche annullando la potenza di pilotaggio quando non commuta. Se commuta, facciamo i conti (non vuol dire che vi interrogo di brutto):
E = 1/2CV2 è l'energia per caricare una capacità. In ogni periodo T va in ballo due volte, una per la carica e la seconda per la scarica. In un secondo il ciclo si ripete f volte (f è la frequenza). Quindi Pgs = 2Ef = CV2f è la
potenza di pilotaggio. Si dovrà inoltre considerare anche quella persa sul dispositivo. Il tutto può non essere poi così piccolo. Dipende dalle condizioni di lavoro, cioè da C da V e da f.
Il nostro mosfet ha un brutto simbolo ( pensate male perchè non lo ho disegnato io):
Figura 9
Il simbolo rappresenta un mosfet a svuotamento a canale n che richiede alimentazione positiva. Brutto, ma non si butta via niente.
In questo tipo il canale è formato in fase di costruzione del mosfet e la tensione Vgs ne controlla la larghezza e quindi la conduzione. Il tipo a riempimento, disegnato con la linea verticale più a destra tratteggiata, richiede che Vgs cresca fino ad un valore di soglia al quale si forma il canale la cui larghezza può essere modulata poi dalla stessa Vgs. Insomma, in questo secondo tipo, ci vuole una tensione più alta.
E' costituito da migliaia di piccoli dispositivi integrati praticamente uguali in parallelo. In questo modo la resistenza di conduzione diretta complessiva rdson può scendere fino ai mW con dissipazioni extrabasse. Per spingere un mosfet in zona con rdson piccole occorrono purtroppo tensioni Vgs relativamente alte, maggiori, tipicamente di 10 V. I dispositivi di potenza posti in parallelo (nel caso uno non basti) hanno la simpatica proprietà di bruciarsi.
Infatti la corrente totale non si riparte in modo uguale fra n dispositivi perché le resistenze dei diversi dispositivi sono diverse per dispersione delle caratteristiche. Così il disgraziato con resistenza minima subisce un correntone maggiore di I/n. Per la legge di Murphy si brucia. A catena gli altri seguono. I mosfet no: hanno la rdson con coefficiente di temperatura positivo. Il più sfigato si scalda per la I elevata. La rdson aumenta con la temperatura e le correnti in questo modo tendono ad equilibrarsi.
Di più sti mosfet sono talmente lineari che si usano anche per l'alta fedeltà. Non ce ne potrebbe fregare di meno. Insomma sono un successone per la disperazione di chi non li fabbricava. Vediamo qualche applicazione.