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Musica e matematica: il problema del temperamento

Indice

Premessa

Questo articolo affronta il tema della natura delle note musicali e degli aspetti matematici che riguardano la loro generazione. La musica da sempre cerca suoni "consonanti" ossia suoni che, messi insieme, producano un risultato "piacevole" per l'udito. Si tratta però di una piacevolezza particolare, diversa da quella che ad esempio procura il rumore dello sciabordio dell'acqua di mare su una spiaggia, e che, dal punto di vista fisico, si basa su due condizioni: 1) la presenza in ciascun suono di una frequenza che spicca su tutte le altre (chiamata "fondamentale") e che dura stabilmente per un certo tempo (dell'ordine del secondo) e 2) l'essere il rapporto tra le frequenze fondamentali dei suoni caratterizzato da una frazione con numeratore e denominatore razionali e piccoli. La seconda condizione limita la quantità di suoni utilizzabili e si scontra con il desiderio o la necessità di individuare i suoni "consonanti" a partire da un principio unico, per esempio una frazione generatrice. Vedremo come si renda indispensabile individuare una o più tecniche di minimizzazione di questo contrasto, tecnica fondata già nell'antichità su basi matematiche che è stata chiamata "temperamento". Molto presto ci si è resi conto che questa tecnica non era unica; di conseguenza nel tempo sono sorti numerosi "temperamenti".

Le note musicali

Tutti conoscono le note musicali, Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si: esse costituiscono una successione ordinata di suoni distinti , proprio come l’alfabeto, che si chiama “scala musicale” o anche solo “scala”; ma forse non tutti conoscono la loro origine, che ha due aspetti, quello fisico e quello del nome. Per motivi storici i due aspetti, per quanto di natura diversa, sono strettamente legati.

Cominciamo dal nome, o meglio dai nomi, precisando che nella presente trattazione ci limitiamo alla musica occidentale. Fino al VI secolo i canti venivano trasmessi oralmente. Gradualmente si cominciò a usare una “notazione” nei canti gregoriani, detta neumatica, che però non indicava l’altezza delle note in modo definito e tantomeno la loro durata; era piuttosto un ausilio mnemonico a ciò che veniva imparato ascoltando chi già conosceva il canto. Si scoprì solo nel rinascimento (attraverso la testimonianza di Alipio, IV secolo d.C.) che gli antichi greci avevano adottato un metodo più preciso, che consisteva nel chiamare le note con alcune lettere dell'alfabeto, ancora in uso nei paesi anglosassoni con l'alfabeto odierno (A = La, B= Si, C = Do, D = Re, E = Mi, F = Fa, G = Sol).

I nomi delle note come li conosciamo noi risalgono al dodicesimo secolo e corrispondono alle sillabe iniziali dei primi sei versetti di un inno a San Giovanni Battista composto dal monaco storico e poeta Paolo Diacono: UT queant laxis / REsonare fibris / MIra gestorum / FAmuli tuorum / SOLve polluti / LAbii reatum, Sancte Iohannes ("affinché i tuoi servi possano cantare con voci libere le meraviglie delle tue azioni, cancella il peccato, o santo Giovanni, dalle loro labbra indegne"). È attribuita a Guido d’Arezzo, un famoso teorico della musica nato nel 1050, l’osservazione che a ciascun versetto corrispondeva una diversa intonazione. Da qui l’idea di utilizzarne le iniziali per dare un nome alle note più facile da ricordare. Si dovrà attendere però il XVI secolo prima che la settima nota riceva un nome definitivo (SI, dalle iniziali di Sancte Iohannes). Nel XVII secolo in Italia la nota Ut viene sostituita con il nome attuale Do, da una proposta del musicologo Giovanni Battista Doni: formalmente la sillaba “ut” fu considerata difficile da pronunciare e la si sostituì con quella iniziale di Dominus, il Signore. In francese comunque è rimasto il nome Ut.


Per tutto il medioevo la scala in uso era composta da 6 note e non da 7; più per motivi pedagogici che teorici, essa fu chiamata da Guido d’Arezzo “esacordo”: Do, Re, Mi, Fa, Sol, La con le note disposte in altezza crescente. Una caratteristica saliente dell’esacordo era che la “distanza acustica” tra le note non era la stessa per tutte le coppie di note successive: la distanza tra MI e Fa era l’unica diversa e fu chiamata “semitono”, mentre tutte le altre distanze furono chiamate “tono”. Per coprire tutta la gamma delle voci, da quelle maschili più basse a quelle femminili più alte, un esacordo poteva iniziare da un suono più alto o più basso e questo era un problema, perché le note avevano sempre lo stesso nome Mi – Fa per il semitono che si spostava in alto o in basso. Guido lo risolse attraverso un procedimento ingegnoso ma abbastanza complesso, indicando l'innalzamento o l'abbassamento dell'altezza attraverso la "mutazione" e servendosi della rappresentazione delle note su una mano (mano guidoniana), chiamata “solmisazione”. Ci si rese conto nel tempo che era più conveniente far iniziare l’esacordo non sempre con Do, ma anche con le note Fa e Sol (solo molto più tardi si poté iniziare la scala da qualunque nota). Fu necessario quindi introdurre la settima nota (Si) per rispettare la posizione del semitono, che doveva trovarsi comunque tra la terza e la quarta nota. Ma vedremo che il Si dell’esacordo che inizia da Fa è diverso da quello dell’esacordo che inizia da Sol: si tratterà in realtà di due note diverse.


Come si vede dalla figura soprastante, a quei tempi la musica veniva scritta su 4 righi e con figure diverse da quelle di oggi. Passando dal medioevo al rinascimento, la scala è diventata gradualmente di 7 note, utilizzando appunto la nuova nota: l’esacordo divenne un eptacordo.

Aspetto fisico

Dalla fisica sappiamo che per una “corda ideale” (ossia un oggetto unidimensionale, perfettamente flessibile) fissata agli estremi e fatta oscillare sollecitandola tramite un impulso di energia (per esempio percuotendola), la frequenza fondamentale f0 è inversamente proporzionale alla lunghezza L secondo la formula

   f_0  =    \frac {1} {2 L} \sqrt{T/m}

dove T = tensione in Newton e m = densità lineare della corda in kg/m.

Oltre all'oscillazione (sinusoidale) a frequenza f0, emergono altre oscillazioni a frequenze 2*f0, 3*f0, ... n*f0 dette “modi”, che nel linguaggio musicale si chiamano "armoniche" o "armonici". Ad essi corrispondono lunghezze di 1/2, 1/3, ... 1/n della lunghezza L della corda.

La figura mostra alcuni modi di oscillazione di una corda ideale che si manifestano tutti contemporaneamente e con varie intensità. La corda, per la sua elasticità, trasforma l’energia impulsiva ricevuta in energia oscillante. La propagazione dell'energia è possibile solo tra un estremo e l'altro: si crea quindi una situazione di equilibrio che si manifesta con onde stazionarie trasversali in cui si evidenziano "ventri" (posizioni in cui l'oscillazione è massima) e "nodi" (posizioni in cui l'oscillazione è = 0): è questo il fenomeno detto "risonanza". I nodi si trovano nelle posizioni risultanti dalla divisione per un numero intero (1/n). Il numero è intero perchè nasce esattamente dalla situazione di equilibrio suddetta, che corrisponde al minimo del movimento dell'energia.

La stessa proporzionalità inversa della frequenza rispetto alla lunghezza si trova nella frequenza delle oscillazioni di risonanza di una colonna d’aria interna a un tubo.

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Ciò che percepiamo come “altezza” o “acutezza” di un suono dipende dalla sua frequenza fondamentale: più alta è la frequenza più “alto” o “acuto” è il suono. Le note sono quindi caratterizzate dalla frequenza fondamentale, detta anche solo “fondamentale” o "prima armonica", mentre la configurazione delle intensità delle armoniche (detta anche "spettro di frequenza") caratterizza almeno in parte il timbro sonoro, ossia quel fenomeno acustico che, a parità di altezza, ci fa distinguere il suono di un violino da quello di una tromba.

Vedremo successivamente come le note musicali saranno messe in relazione con questo fenomeno fisico.

Nella pratica musicale ciò che veramente caratterizza le note è il rapporto numerico tra le loro fondamentali. Si dice che le due note sono a “distanza di ottava” o che, meglio, l’“intervallo” tra le due note è di un’ottava se la frequenza fondamentale dell’una è doppia di quella dell’altra.

Perché “ottava”? Perché le 7 note stanno tutte “dentro” l’intervallo di ottava, nel senso che la frequenza del Si divisa per quella del Do è minore di 2; quindi una nota ancora successiva sarebbe l’ottava nota. Ma i nomi delle note sono 7 e l’ottava nota si chiama come la prima, la nona nota come la seconda nota e così via. In effetti il nome di una nota indica una “classe di altezze” (class of pitch) perché tutte le note la cui frequenza fondamentale è multipla di una potenza di 2 hanno lo stesso nome. Questo accade perché se due note, di cui una ha frequenza fondamentale doppia dell’altra, vengono suonate simultaneamente è difficile distinguerle.

Distanza tra due note

La distanza tra due note non è la differenza tra le loro fondamentali (f02 - f01), ma è il loro rapporto numerico (chiamato più spesso intervallo) f02/f01 e non è costante lungo la scala: tra Do e Re, Re e Mi, Fa e Sol, Sol e La, La e Si si chiama “tono” (T), mentre tra Mi e Fa, Si e Do dell’ottava superiore o Do(sup) si chiama “semitono” (S). Queste due ultime coppie di note consecutive hanno cioè rapporti di frequenza che sono “metà” di quelli delle altre coppie: quindi il rapporto di frequenza del semitono S non è T/2, ma è \sqrt{T}, perché la progressione è geometrica di ragione S e quindi S*S=T.

Nella scala di 8 note Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si, Do(sup), ci sono dunque 5 toni e 2 semitoni. La scala di 7 note va estesa a 8 note perché dobbiamo prendere in considerazione tutti gli intervalli tra una nota e la successiva. Suonando uno dopo l’altro i tasti bianchi della tastiera del pianoforte, ossia tutte le note diverse, si forma una “scala” (vedremo che questa scala si chiama “diatonica”): partendo dal Do più basso (che si trova a sinistra) e proseguendo verso destra (ottave successive), si ha la chiara sensazione che la scala si ripete, appunto ogni 7 note, che diventano però sempre più “alte”. Si percepisce chiaramente la natura “circolare” della scala, che però sarebbe più preciso chiamare “elicoidale”.

Si può pensare a una rappresentazione della scala in coordinate cilindriche, in cui l’asse verticale contiene i numeri interi (ordinali) che indicano l’ottava di (ri)partenza, mentre nella circonferenza di base sono riportati i 7 nomi delle note: ogni ottava potrebbe essere proiettata su un piano parallelo a quello di base (1a ottava) . Incidentalmente, si può notare che la successione delle note ha una struttura di “gruppo abeliano” (in senso matematico), come l’orologio e come attestano i vari studi di Music Set Theory sull’algebra delle note musicali. Osserviamo in più che le note diverse in uso sono 88: se dovessero avere tutte un nome diverso avremmo 88 nomi da ricordare! È molto più facile ricordare 7 nomi con un suffisso (scritto come pedice) che indica l’ottava di appartenenza: Do1, Do 2, Re3, Fa4, etc.

Tale suffisso è presente solo quando strettamente necessario, in pratica quasi solo nei discorsi teorici, perché la musica scritta sul pentagramma indica anche l’ottava di appartenenza. Le 88 note sono distribuite su poco più di 7 ottave: il Do1 è preceduto da La0 (la prima nota della tastiera del pianoforte, la più bassa di tutte in assoluto), da Si0 e da Sib0, mentre il Si7 è succeduto solo dal Do8 che è l’ultima nota. Le ottave in uso nella pratica musicale sono 7. Se partiamo dal Do più basso di tutti nella tastiera del pianoforte e lo chiamiamo Do1, l’ultimo tasto in alto è il Do8, nella figura C8 (che darebbe inizio all’ottava ottava ma, salvo casi particolari, non esiste un Re8). Tenendo come riferimento il La4 a 440 Hz come fondamentale (tale frequenza è uno standard internazionale dal 1953, ma fino ad allora variava notevolmente da un posto all’altro), il Do4 ha frequenza fondamentale 261,63 Hz e il Do1 ha 32,703 Hz, cioè 261,63/23. La nota in uso più bassa di tutte è il La0 e ha la fondamentale di 27,5 Hz cioè 440/24. Come si ricavano le frequenze fondamentali delle note a partire da una frequenza di riferimento lo vedremo più avanti.


Scale e gradi

Chiamando “gradi” le note di una scala indipendentemente dal loro nome, il primo grado sarà la nota di partenza, mentre l’ottavo grado sarà l’ottava nota della scala, che ha lo stesso nome di quella di partenza ma frequenza fondamentale doppia e che abbiamo indicato con il suffisso (sup). Tornando alla scala di partenza, che inizia con la nota Do, sappiamo che ha intervalli di un tono tra i gradi 1 e 2, 2 e 3, 4 e 5, 5 e 6, 6 e 7, mentre ha intervalli di semitono tra i gradi 3 e 4, 7 e 8. In essa la successione degli intervalli tono (T) e semitono (S) si indica con TTSTTTS. Se ora vogliamo riprodurre la stessa scala di 8 note, cioè una scala che suoni allo stesso modo ma a partire dal Fa e non più dal Do, bisognerà usare la stessa successione di toni e semitoni della scala di Do, come abbiamo accennato più sopra parlando degli esacordi.

Quindi, se partiamo dal Fa, si vede che la scala Fa, Sol, La, Si, Do, Re, Mi, Fa(sup) non rispetta la successione di toni e semitoni della scala di Do, perché si trova un tono tra i gradi 3 e 4, invece di un semitono, e un semitono tra i gradi 4 e 5 invece di un tono. Occorre allora abbassare la frequenza del Si, in modo da realizzare l’intervallo di semitono tra il 3 e il 4, cioè tra La e Si. Allora il Si, che anticamente (e tuttora nel mondo anglosassone) si chiamava B, in Italia diventò B molle ("abbassato"), poi Si bemolle, ossia Si con una “b” accanto, cioè Si abbassato di un semitono. La scala a partenza Sol mantiene il Si precedente, che venne chiamato “duro” o “quadro” e rappresentato con una "b" particolare, disegnata con la parte inferiore non tondeggiante ma rettangolare, con il lato più corto come base. (Questa b diventerà in seguito il “be-quadro”, cambiando significato). Abbiamo ora in tutto 8 note diverse, perché il Si esiste in due versioni, duro e molle.

La scala di Fa va a posto solo con il Si bemolle sul grado 4, perché ha come grado 7 il Mi e grado 8 il Fa, quindi il secondo semitono richiesto c’è. Se guardiamo il Sol, il semitono tra 3 e 4 c’è, mentre manca quello tra i gradi 7 e 8, cioè tra Fa e Sol; in più avremmo un semitono tra i gradi 6 e 7 (Mi – Fa) che non ci deve stare. Non c’è che un modo per rimediare: creare un’altra nota, aumentando la frequenza del Fa del grado 7 in modo che la distanza tra i gradi 7 e 8 diventi un semitono e conseguentemente la distanza tra 6 e 7 diventi un tono. Il Fa aumentato viene chiamato Fa "diesis” (termine di origine greca = passaggio, intervallo che poi assume il significato di “innalzamento”). Il diesis è un “cancelletto” posto dopo la nota, ad esempio Fa#.

Abbiamo così sistemato le scale di Fa e di Sol, introducendo due nuove note, il Si bemolle (indicato con Sib) e il Fa diesis (indicato con Fa#). Viene subito da chiedersi: perché non iniziare la scala anche dalle altre note? Se per esempio inizio dal Re, devo constatare che mi serve il Fa# ma anche il Do#. Alla fine, dovrò disporre anche di tutte le note aumentate con il diesis. Quindi avrò 7 + 7 = 14 note in tutto, più il Si bemolle, in definitiva 15 note. Però posso chiedermi: se mi servono toni e semitoni e il semitono è la metà di un tono, qual è il numero massimo di semitoni che posso ottenere? Nella scala diatonica ci sono 5 toni e 2 semitoni, quindi posso ottenere solo altri 10 semitoni dividendo in 2 parti i 5 toni: in tutto avrò 12 semitoni e, visto che giunte all’ottava le note si ripetono, 12 note. Ciò significa che il Mi# deve coincidere con il Fa e che il Si# deve coincidere con il Do; inoltre il Sib deve coincidere con il La#. Da 15 note siamo tornati a 12. Non solo: poiché il # innalza la nota di un semitono e il b la abbassa di un semitono, anche il Mib deve coincidere con il Re# e così per tutte le altre note. Ossia una stessa nota, che nel pianoforte corrisponde a un tasto nero, ha un doppio nome. Per completezza, anche il Fa si può chiamare Mi# e il Mi si può chiamare Fab, il Do si può chiamare Si# e il Si si può chiamare Dob. Diesis e bemolli si chiamano "alterazioni" delle note. In Germania c'è un eccezione nel nome delle note: la nota B significa direttamente Sib mantre il Si naturale si chiama H; per le altre invece si usa il suffisso "moll" per indicare il bemolle. Un'altra differenza è che i paesi anglosassoni chiamano il diesis con il suffisso "sharp" (anche se il termine "diesis" esiste in inglese) e il bemolle con il suffisso "moll" mentre i tedeschi usano il suffisso "is" per il diesis e il suffisso "es" per il bemolle; così Fa# viene chiamato Fis, il Lab diventa Aes, etc.

In definitiva l’intervallo di ottava viene diviso in 12 parti uguali ossia in parti che hanno tra loro un rapporto di frequenza costante. Così facendo si può costruire la scala partendo da qualunque di queste dodici note. Da rilevare che, per motivi storici, i nomi sono rimasti 7, mentre le altre 5 note si chiamano aumentando con un diesis o abbassando con un bemolle la nota interessata. In pratica ogni nota si può chiamare con più di un nome, tenendo conto che esistono anche il doppio diesis (##) e il doppio bemolle (bb) che rispettivamente innalzano o abbassano la nota di due semitoni, ossia di un tono.

I tasti neri del pianoforte sono quindi le note alterate con # o con b ma ciò non riguarda l'intervallo Mi - Fa né quello Si - Do, perché sono dei semitoni nativi.

12 parti uguali - il cent

La suddivisione dell’ottava in 12 parti uguali individua una progressione geometrica; ciò che è costante non è la differenza di frequenza tra note che distano un semitono, ma è il loro rapporto. Quanto vale questo rapporto? Se il Do ha frequenza f0 e il Do distante un’ottava ha frequenza f12, si ha f12/f0 = 2, che si può scrivere anche 212/12. Quindi f1/f0=f2/f1= … = f12/f11= 21/12 o “radice dodicesima di 2”, che è notoriamente un numero irrazionale e che è la misura del semitono, inteso come “ragione geometrica”. Ad esempio, il Re, che dista 2 semitoni dal Do avrà frequenza pari a f0*22/12 e il Fa, che ne dista 5 ha frequenza f0*25/12. Per ottenere precisioni maggiori nella misura dell'ampiezza degli intervalli, Alexander Ellis, in appendice alla sua traduzione di un testo di Hermann von Helmholtz del 1875, propose di dividere il semitono in 100 parti uguali (sempre nel senso della progressione geometrica) definendo la ragione geometrica 2(1/1200) che chiamò cent . Ne segue che un semitono è composto da 100 cent, visto che 100 cent corrispondono a (21/1200 )100 = 21/12. Il cent diventa così l’unità di misura (adimensionata) degli scostamenti “geometrici” da un valore predefinito: si possono sommare e sottrarre, proprio come si fa con i decibel.

Questa suddivisione dell’ottava in 12 parti uguali (in senso geometrico) si chiama “temperamento equabile”. Individuata da Aristosseno di Taranto (III secolo A.C.), ma poco usata nei tempi antichi, fu meglio descritta nel 1585 da Simon Stevin, un matematico fiammingo, e fu caldeggiata dal musicista Vincenzo Galilei (padre di Galileo); ma si diffuse molto gradualmente dal ‘700 in poi, per consolidarsi durante l’800. Per inciso, i temperamenti equabili possibili (in inglese TET = Tone Equal Temperament) sono molti (teoricamente infiniti) perché l’ottava può essere divisa in un numero qualsiasi di parti uguali; quindi il nostro attuale si chiama 12-TET, ma altre divisioni dell’ottava si sono rivelate utili per certi fini, come accenneremo in seguito.

Perché queste suddivisioni dell’ottava, uguali o disuguali, si chiamano “temperamenti”? Per spiegarlo, bisogna capire come nascono le note musicali. Dimentichiamo per adesso quando detto sopra sulle note del temperamento equabile, una sistemazione piuttosto recente delle frequenze delle note basata sulla suddivisione in parti uguali dell’ottava e facciamo un salto nella Storia.

La Storia

Prima dell’invenzione del registratore magnetico, avvenuta nell’anno 1898 da parte dello scienziato danese Valdermar Poulsen ma sviluppatasi nei primi decenni del secolo scorso grazie alla nascita dell’amplificatore elettronico, non era possibile sapere come cantavano gli uomini nelle varie parti del mondo. Tuttavia, sappiamo da vari documenti che il canto è sempre stato costituito da emissione di suoni le cui frequenze sono per lo più tratte da un insieme discreto e finito di valori, ottenibili tramite rapporti di numeri interi non grandi. Tipico è il caso dell’ottava, che ha il rapporto di frequenza 2/1, il più semplice possibile dopo il rapporto 1/1 (unisono). Questo rapporto 2/1 è in realtà basilare, perché tutte le note vengono “sistemate” al suo interno: il rapporto che le caratterizza sarà un numero compreso tra 1 e 2, o tra 0 e 1200 cent. Ne consegue che i rapporti che individuano le note nelle altre ottave saranno tutti “modulo 2”.

La testimonianza più antica sulla nascita delle note musicali pare sia quella di Severino Boezio, filosofo e senatore romano vissuto tra il V e il VI secolo d.C., che narra del monocordo, uno strumento presente nell’antica Grecia, costituito da una sola corda con un ponticello scorrevole che permette di variare la lunghezza della corda stessa, con il quale Pitagora compì alcuni esperimenti di acustica.
Monocordo

Monocordo

Egli notò che dimezzando la lunghezza della corda si otteneva un suono praticamente uguale a quello della corda intera ma più “acuto”, o più “alto”. Ma notò anche che riducendo la lunghezza della corda a 2/3, questa lunghezza produce un suono che “si accoppia bene” con quello prodotto dalla corda intera, ossia è “con-sonante”: l’insieme dei due suoni simultanei risulta piacevole all’ascolto. Se questi 2/3 di corda si riducono ancora a 2/3 si ottengono (2/3)*(2/3)=4/9 della corda intera, che generano un suono più alto dell’ottava, perché 4/9 <1/2. Ma è sufficiente raddoppiare questa lunghezza per ottenere 8/9. Naturalmente Pitagora non conosceva la frequenza, un concetto che si è formato con la scienza post-rinascimentale. Per noi però, basta invertire la frazione per passare dalla lunghezza alla frequenza, concetto assai familiare, perché come abbiamo visto all’inizio, la frequenza di oscillazione di una corda è inversamente proporzionale alla sua lunghezza.

Lo scopo “esoterico” di Pitagora era di mettere in relazione i numeri con i suoni. Cercò quindi di generare tramite i numeri interi dei suoni che fossero facili da cantare o che riproducessero quelli che le persone già spontaneamente cantavano senza conoscere alcuna teoria. Costruì così una successione di suoni in base alla loro altezza, “portandoli” tutti dentro la prima ottava, ossia continuando a moltiplicare per 2 fino a ottenere un numero compreso tra ½ e 1: in termini di frequenza significa continuare a dividere per 2 fino a ottenere un numero compreso tre 1 e 2.

La scala pitagorica

Proviamo a dare ora dei nomi ai suoni che si generano con il procedimento numerico usato da Pitagora, basato sui rapporti di lunghezza espressi con numeri interi. Per semplicità usiamo i rapporti in frequenza, dato che sono semplicemente l’inverso di quelli di lunghezza e quindi compresi tra 1 e 2.

Chiamiamo Do il suono ottenuto da una corda di lunghezza posta = 1 e chiamiamo Sol il suono che ha rapporto di frequenza 3/2 (=1,5) con il Do, il più semplice dopo il 2/1. Sappiamo che il Sol è consonante con il Do. Chiamiamo Re il suono che ha rapporto di frequenza 3/2 con il Sol, diviso per 2 per riportarlo nell'ottava di partenza, ossia 3/2*3/2*1/2=9/8 (=1,125). Il Re, ottenuto come 3/2 del Sol, sarà consonante con esso. Diciamo che la distanza di 9/8, quella tra Do e Re, si chiama “tono” e non è consonante. Moltiplicando il Re per 3/2 otteniamo 27/16 (=1,687) e chiamiamo La il suono che ne risulta. Moltiplichiamo ancora e otteniamo 81/64 (=1,266) e lo chiamiamo Mi. Peraltro, se prendiamo l’intervallo di 9/8 che abbiamo chiamato “tono” (associato alla nota Re) e lo applichiamo a se stesso otteniamo 9/8*9/8 = 81/64 ossia ancora il Mi: ne consegue che il Mi dista un tono dal Re. Ora applichiamo il 3/2 al Mi e otteniamo 243/128 (=1,898) e lo chiamiamo Si. Proviamo a mettere questi numeri in fila con i relativi nomi.

Manca ancora qualcosa. Non abbiamo considerato il rapporto “semplice” 4/3 = 1,333 e che possiamo chiamare Fa e aggiungerlo alla tabella:

TabPit2.jpg

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Il rapporto tra Fa e Mi e quello tra Si e Do(sup) si chiama “semitono” e vale (4/3)/(81/64) = (2/1)/(243/128) = 256/243 = 1,053. Dalla tabella si vede la posizione dei toni (9/8 = 1,125) e dei 2 semitoni (1,053).

Osserviamo che il rapporto 4/3 si ottiene anche “scendendo” sotto al Do: (1/1)/(3/2) = 2/3 che moltiplicato per 2 va riportato all’ottava di partenza = 4/3. Osserviamo che “salire” significa moltiplicare e di conseguenza dividere significa “scendere”.

Abbiamo già visto che Do-Re e Re-Mi sono due toni. Lo sono anche Fa-Sol (3/2)/(4/3) = 9/8, Sol-La (27/16)/(3/2)=9/8 e La-Si (243)/(128)=9/8. Inoltre anche tutti gli intervalli ampi 5 note sono verificati, compreso Fa-Do(sup) = (2/1)/(4/3)=3/2. Vediamo Re-Sol (3/2)/(9/8)=4/3 ed è come Do-Fa. Lo stesso è per Mi-La e Sol-Do(sup). Ma Fa-Si non funziona: (243/128)/(4/3)=729/512 ≠ 4/3 e infatti abbiamo già detto che serve il Si bemolle, che deve essere 4/3*4/3=16/9, perché deve stare dal Fa alla stessa distanza che il Fa ha dal Do. Mentre Sib-Do(sup) è (2/1)/(16/9)=9/8 ossia un tono, come ci si aspetta.

Ecco ottenute tutte le note della scala “pitagorica” di Do. La chiamiamo scala “diatonica” di Do.

Osservando bene il procedimento di generazione delle note ci si rende conto che Pitagora hausato come base il soli numeri estratti dalla tetraktys , la successionearitmetica dei primi quattro numeri naturali (o più precisamente numeri interi positivi), un «quartetto» che geometricamente «si poteva disporre nella forma di un triangolo equilatero di lato quattro», in modo da formare una piramide che sintetizza il rapporto fondamentale fra leprime quattro cifre e la decade

1+2+3+4=10 (somma teosofica).
Tetraktis

Tetraktis

Naturalmente i Greci antichi avevano altri nomi per le note. Ogni nota ha un nome e una lettera che la rappresenta per i cantanti (vocal), mentre gli strumenti disponevano di altri simboli (instr). Il tutto è visibile nella figura sottostante, insieme ai nomi anglosassoni delle note.

Le note greche erano sistemate in successioni di 4 note ciascuna chiamate “tetracordi”, che erano in tutto 5, come si vede dalla figura, disposti consecutivamente su 2 ottave (con due sovrapposizioni). Ogni tetracordo comprendeva un ditono (due toni) e un semitono. Le note venivano ordinate per altezza discendente, al contrario di come facciamo noi. I due tetracordi centrali (diezeugménon e méson) venivano anche uniti a formare un “ottacordo”. A seconda della nota di partenza, e invadendo i tetracordi inferiore o superiore, gli ottacordi si chiamavano “modi” (dorico, lidio, ionico, etc; i nomi odierni dei modi sono diversi da quelli degli antichi greci). I tetracordi però avevano anche 3 “generi”: diatonico, cromatico ed enarmonico (che non ha nulla a che vedere con il significato odierno di “enarmonico”). Il genere riguarda l’intonazione reciproca dei tre intervalli che compongono il tetracordo, nel senso che una o due o tre note possono essere alterate, di un semitono o di un quarto di tono, mentre la somma dei tre intervalli deve essere sempre la stessa, ossia 2 toni + un semitono. Il genere più diffuso, quello da cui sono derivati gli esacordi medievali, è il genere diatonico. Ma anche all’interno del genere diatonico, l’ampiezza del tono e del semitono può variare, secondo il tipo di intonazione scelta: poteva essere pitagorica o di altro tipo. Questo aspetto lo troviamo anche nei tempi successivi, dal medioevo ai giorni nostri.

Rimaniamo in ambito pitagorico. La formula per calcolare in cent un rapporto numerico a/b è 1200*log2(a/b). Il semitono dovrebbe essere la “metà” di un tono (9/8): dato che la progressione è geometrica, la “metà” è la radice quadrata di 9/8 cioè \sqrt{9/8} =3/2/\sqrt{2} = 1,060 --> 1200*log2(1,060) = 100,88 cent; il semitono Fa-Mi (4/3)/(81/64)=256/243 à 1,053 --> 90,2 cent, come Sib -La = (16/9)/(27/16)=256/243. Emerge che i 2 semitoni non sono uguali in ampiezza, né sono uguali alla metà del tono calcolata prima.

Questo significa che, se si ripete la costruzione della scala partendo da altre note, le frazioni utilizzate finora daranno risultati diversi, ossia, in definitiva frequenze diverse, note diverse. Non avremmo più le sette note tradizionali più le stesse “alterate” con bemolle o con diesis, ma ne avremmo molte di più.

Intervalli

Tradizionalmente gli intervalli tra le note hanno come nome l’ordinale che le conta e le comprende lungo la scala, cosicché Do-Mi è un intervallo di terza, perché Do – Re – Mi sono 3 note, mentre Do-Sol è un intervallo di quinta, o più semplicemente una quinta. Ma Do-Sol è una quinta diversa da Si-Fa(sup), perché la prima contiene 7 semitoni e si chiama “quinta giusta”, la seconda solo 6 e si chiama “quinta diminuita”.

Il procedimento pitagorico genera le note moltiplicando sempre per 3/2 (circa 702 cent) la nota precedente per salire di una quinta “giusta”, cioè composta di 7 semitoni, come abbiamo visto sopra, per poi dividere tante volte per 2 quanto basta a riportare le frequenze all’interno dell’ottava iniziale. Il procedimento si chiama “circolo delle quinte”: procedendo di quinta in quinta (quinte giuste), alla fine di 7 ottave si dovrebbe ritrovare la nota di partenza: Do1, Sol1, Re2, La2, Mi3, Si3, Fa#4, Do#5, Sol#5, Re#6, La#6, Mi#7, Si#7, in tutto 12 quinte; ma con il procedimento pitagorico non ci si arriverà mai, perché il Si# dovrebbe essere un Do8. Infatti, innalzando di un semitono il Si, si dovrebbe ottenere un Do che dovrebbe avere la stessa frequenza del Do1 iniziale innalzato di 7 ottave tramite 7 raddoppi di frequenza e cioè Do8. Ma la frequenza del Si# è in realtà più alta. L’ultima quinta della successione di cui sopra, se invece che Mi#7-Si#7 diventasse Fa7-Do8, sarebbe più “stretta”, ossia il suo rapporto sarebbe minore di 3/2: questa quinta si chiama “quinta del lupo”.

Comma

L’equazione (3/2)12 = (2/1)7 che dovrebbe garantire che 12 quinte giuste equivalgono a 7 ottave non è vera. La “differenza” tra le due potenze è piccola, pari a (3/2)12/(2/1)7 = 531441/524288 = 1,013 = 23,46 cent: si chiama “comma pitagorico” ed è ampia circa ¼ di semitono. Il circolo delle quinte “non si chiude” ma “va oltre” di 23,46 cent.

La quinta del lupo misura quindi 23,46 cent in meno, cioè 678,49 cent invece di 701, 95 cent (approssimabile a 702).

In generale, in musica il comma è un intervallo molto piccolo e ne esistono vari tipi. Oltre al comma pitagorico è importante il comma sintonico, o “comma di Didimo”. Pare che Didimo volesse correggere la terza pitagorica (81/64) con la terza “naturale” (5/4). La terza naturale è consonante mentre quella pitagorica è dissonante. La differenza (il rapporto) delle due terze è il comma sintonico = (81/64)/(5/4)= 81/80 = 1,0125 cioè 21,5 cent, diverso dal comma pitagorico. Ma la proposta di Didimo ebbe poco seguito e ai suoi tempi fu dimenticata, per poi essere riscoperta nel rinascimento come vedremo. La differenza tra comma pitagorico e comma sintonico, circa 2 cent, si chiama “schisma”.

Nella tradizione occidentale, il semitono è l’intervallo più piccolo usato nella pratica esecutiva della musica, mentre la musica araba, ad esempio, usa anche il 1/4 di tono. Esaminando i rapporti tra le note della scala diatonica abbiamo visto la presenza dei 2 tipi di comma, quello pitagorico e quello sintonico (o di Didimo) = 81/80 = 21,50 cent. In realtà esistono molti “comma” diversi, usati per misurare e valutare l'ampiezza e l'interrelazione di alcuni particolari intervalli.

All'interno dello stesso sistema di accordatura, due note come Sol ♯ e La ♭ possono avere una frequenza leggermente diversa e l'intervallo tra loro può essere di un comma (specificando o anche essere nullo (come nel sistema attualmente impiegato, il 12-TET). Se non specificato ulteriormente, il termine “comma” sottintende il comma sintonico. Ad esempio, nell’accordatura con temperamento mesotonico ¼ di comma (lo descriveremo più oltre), la differenza tra Sol♯ e La♭ è di un comma, dove il Sol♯ è più basso del La♭.

Consonanza e dissonanza

La consonanza è uno dei fondamenti della musica, soprattutto occidentale, e riguarda la percezione di suoni di altezza diversa, simultanei o anche poco differiti nel tempo. Se i 2 suoni sono simultanei l’ascolto è più critico: può risultare piacevole o spiacevole, con tutte le gradazioni intermedie. La piacevolezza o meno dipende per la maggior parte dal rapporto delle loro frequenze fondamentali. Se tale rapporto è espresso da due numeri interi, più sono piccoli maggiore è la sensazione di consonanza che si produce.

La consonanza riguarda più da vicino la musica occidentale dal secolo XI in poi, quando nacque la polifonia, che impone un’attenzione diversa alla consonanza in quanto garanzia dell’armonia delle voci simultanee.

Dal punto di vista fisico e fisiologico, la spiegazione della consonanza risale a Galileo (in “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze”). Per semplicità consideriamo due onde sinusoidali: la loro somma è un’onda periodica che ha come periodo il minimo comune multiplo dei due periodi. Se il rapporto delle frequenze di partenza è espresso da numeri piccoli e poco diversi tra loro, il risultato è un’onda piuttosto regolare, che impegna il nostro sistema percettivo molto meno di un’onda irregolare. La piacevolezza della consonanza deriva da questa bassa fatica uditiva, anzi, “decodificativa”.

La consonanza non riguarda solo i suoni simultanei ma, come dicevamo sopra, anche i suoni successivi: la memoria a breve termine fa sì che la sensazione piacevole si manifesti anche a distanza di tempo, come quando ascoltiamo una persona che canta. L’uomo, a differenza degli altri animali, esercita il canto emettendo suoni spontaneamente consonanti, molto diversi da quelli del parlato. Per questa caratteristica il canto, fatto anche di ritmo piuttosto regolare (il parlato ha un ritmo irregolare, meno prevedibile), è la base della musica e in effetti è verosimile che gli strumenti musicali siano nati soprattutto per accompagnare il canto.

Una scala musicale è una successione di suoni di cui alcuni che hanno tra loro una relazione di consonanza e altri di dissonanza per altri. Le relazioni di consonanza si classificano tramite gli intervalli, considerando due ottave l’una successiva all’altra. Come abbiamo detto sopra, un intervallo è la distanza tra due note della scala, contando sia la nota di partenza che quella di arrivo. Quindi Do – Re è una “seconda”, Sol - Fa(sup) è una “settima”, Re – Sol è una “quarta” . Questo accade nella scala diatonica. Ma se aggiungiamo le alterazioni passiamo da 7 a 12 note e la scala da diatonica diventa “cromatica”. Allora, ad esempio, anche Re – Sol# è una quarta, così come Re – Solb. Quindi serve un’ulteriore specificazione: per le quinte, le ottave e le quarte, “giusta” o “pura” (come Re – Sol), “eccedente” (come Re – Sol#) e “diminuita” (come Re – Solb); per le seconde, le terze, le seste e le settime “maggiore” (come Fa – La), “minore” (come Fa – Lab), “eccedente” (come Fa – La#). Per sua natura l’ottava (2/1) è consonante al massimo grado e viene mantenuto come punto fermo. Abbiamo visto che non è possibile ottenere contemporaneamente consonanze perfette sia per le terze sia per le quinte (le quarte vengono di conseguenza alle quinte perché sono differenza tra ottava e quinta), mentre le seconde e le settime sono tutte dissonanti per definizione. Nel sistema a temperamento equabile 12-TET isemitoni hanno tutti la stessa ampiezza e gli intervalli perfettamente consonanti sono solo le ottave; ma il vantaggio è che le dissonanze delle terze e delle quinte sono lievi e tollerabili. In questo senso gli intervalli si caratterizzano più facilmente tramite la quantità di semitoni che contengono viste le coincidenze tra note alterate con diesis e con bemolli (es. Do# = Reb). La Tabella si riferisce all’ambito delle 12 note (intervallo di ottava) e considera consonanti le quarte/quinte giuste e le terze/seste maggiori e minori.


Legenda: G = Giusta; M = maggiore; m = minore; e = eccedente; d = diminuita

Intervalli: Consonanti 7 (58%); Dissonanti 5 (42%).

All’interno della scala cromatica, composta da 12 note , ci sono 12*12 = 144 intervalli e cioè  : 12 unisoni, 12 seconde, 12 terze, 12 quarte, 12 quinte, 12 seste, 12 settime, 12 ottave. Di questi 12 tipi di intervalli, alcuni sono consonanti e altri dissonanti. Ma la dissonanza di questi ultimi intervalli è particolare: le stesse note che formano intervalli dissonanti, formano anche consonanze a seconda di come si raggruppano. Ad esempio, Do-Re è una seconda, quindi dissonante, ma Re-La è una quinta, quindi consonante. Questo insieme di consonanze e dissonanze distribuito nel tempo risulta all’ascolto particolarmente significativo ed è il fondamento della musica occidentale.

In generale il passaggio dalla consonanza alla dissonanza di due suoni qualsiasi, al di là della scala cromatica, non è improvviso ma graduale e grossolanamente quantificabile attraverso il fenomeno dei battimenti.

Questo ben noto fenomeno consiste in una fluttuazione periodica dell’intensità di un’onda somma di due onde che hanno frequenza f1 e f2 poco diversa l’una dall’altra: le due onde infatti passano gradualmente e ciclicamente dal trovarsi in fase, quando l’intensità si somma, al trovarsi in opposizione di fase, quando l’intensità si sottrae (fino ad annullarsi se le due intensità sono uguali). Tale ciclo ha a sua volta frequenza uguale esattamente alla differenza di frequenza f2 - f1 = Δf delle due onde e viene percepito come una fluttuazione dell’intensità.

È la frequenza di tale fluttuazione che determina il passaggio dalla consonanza alla dissonanza. Finché Δf si mantiene sotto circa 15 Hz, si sentono i battimenti senza alcun fastidio: i due suoni sono consonanti, anche se non "pure". Sopra ai 15 Hz subentra la sensazione di dissonanza, una sensazione considerata spiacevole se perdura; mentre se dura poco ed è seguita da una consonanza, crea quella successione “tensione – risoluzione” che sta alla base di tutta la musica dal rinascimento fino al tardo ‘800, oltre che della musica pop e di quasi tutta quella rock. Esempio acustico di battimento https://www.youtube.com/watch?v=i7gcaDXdr94

La scala naturale e Zarlino

Abbiamo parlato della consonanza e della dissonanza in generale ma ci siamo anche riferiti al sistema 12-TET in cui le vere consonanze sono solo quelle degli intervalli di ottava. Tuttavia vengono classificati come consonanti anche altri intervalli perchè si discostano molto poco dalla consonanza pura (assenza di battimenti), dato che i battimenti che generano sono sufficientemente lenti.

Prima di arrivare ad accettare il 12-TET, la scala pitagorica dominava la scena musicale, più interessata agli aspetti teorici che alla fisicità dei suoni, privilegiando i rapporti numerici "eleganti" a scapito di alcuni intervalli, cioè le terze e le seste.

Nel 1558 Gioseffo Zarlino, il più grande teorico della musica nel rinascimento, fissò l'altezza dei suoni della scala diatonica proseguendo la teoria fisico-numerica della scuola pitagorica, la quale, com'è noto, aveva posto un limite alla generazione dei rapporti iniziali (2/1, 3/2) in base alla teoria esoterica della tetraktys, quindi non considerava rapporti tra i suoni con numeri generatori superiori o uguali a 4; ciò significa che un rapporto deve formarsi solo con il prodotto (2p)*(3q)con p e q interi (positivi, 0, o negativi); ad esempio 81/64 = (2-6)*(34). Tale teoria era allineata, in maniera del tutto inconsapevole, con quella fisica degli armonici naturali, ossia i possibili modi naturali di vibrazione sonora di un corpo.

Zarlino, riprendendo la suddivisione dell’ottava costruita da Tolomeo (II sec. d.C.), aggiunse il numero 5 con lo scopo di rendere i rapporti più semplici. Quindi ai rapporti di 2/1 (ottava), 3/2 (quinta) e 4/3 (quarta) aggiunse anche quelli di terza maggiore e di terza minore, corrispondenti rispettivamente ai rapporti 5/4 e 6/5 (da notare come tutti questi rapporti appartengano alla categoria dei numeri superpartientes, cioè frazioni nelle quali il numeratore superi di un intero il denominatore). Gli intervalli restanti si ottenevano come semplice interpolazione di quelli già determinati: seconda maggiore = quinta – quarta = (3/2)/(4/3) =9/8; settima maggiore = quinta + terza maggiore = 3/2*5/4=15/8; sesta maggiore = ottava – terza minore = (2/1)/(6/5) = 5/3; notare che questo risultato si può scrivere anche 22*31*5-1, ossia con i numeri generatori.

Gli intervalli individuano anche i relativi “bicordi”: un bicordo è un insieme di due note ed costituito da membri di una singola serie armonica di una fondamentale implicita (inferiore). Ad esempio, le note Sol3 e Do4, sono entrambe membri delle serie armoniche di Do1 e le loro frequenze saranno 3 e 4 volte, rispettivamente, la frequenza fondamentale; quindi, il loro rapporto di intervallo sarà 4/3 (una quarta). Se la frequenza della fondamentale implicita fosse 64 Hz , le frequenze delle due note in questione sarebbero 192 e 256 Hz.

La scala costruita secondo la "scala naturale" (“Just intonation”) si fonda su tre tipi d'intervallo: tono maggiore (9/8), tono minore (10/9) e semitono diatonico (16/15) = 111,73 cent. Il tono maggiore risulta da sesta – quinta = (5/3)/(3/2)=10/9. Il tono minore deriva da quinta – quarta = (3/2)/(4/3)=9/8). La differenza tra tono maggiore e tono minore è il comma sintonico = (9/8)/(10/9) = 81/80 = 1,053 = 23,46 cent, mentre la differenza tra la terza maggiore (5/4) e la terza minore (6/5) è il semitono cromatico (5/4)/(6/5)=25/24 = 70,67 cent.

Ed ecco gli inconvenienti: si hanno due tipi di tono, T = tono maggiore, t = tono minore, il che altera il risultato sonoro di alcuni accordi; inoltre i due semitoni differiscono di ben 41,05 cent.

Riassumendo, la scala naturale risulta così costituita:


Nella scala pitagorica la terza maggiore è 81/64 ed è dissonante, essendo questi numeri non piccoli; leggermente meglio è la sesta maggiore (27/16) ma sempre dissonante. La scala pitagorica è stata considerata per secoli indiscutibile e fondamentale, vista l’autorità del suo inventore; senza dubbio è una costruzione numerica al tempo stesso semplice ed elegante. Fu messa in discussione solo nel tardo medio evo (sec. XIV), quando sorse la cosiddetta “Ars nova”.

“Il XIV secolo fu il secolo in cui iniziò in tutta Europa un movimento di laicizzazione della cultura, che iniziò a distanziarsi dai condizionamenti ecclesiastici e ad acquistare una sua dimensione autonoma. Questo fenomeno si manifestò in tutti gli aspetti della produzione artistica: in letteratura si ebbe il passaggio da un'opera teologica del mondo (la Divina Commedia) alla commedia umana di Boccaccio; in pittura si passa dalle figure stilizzate alla dimensione materiale dell'uomo; in architettura, si costruiscono non solo luoghi di culto, ma anche palazzi, città ed abitazioni aristocratiche. Anche la musica acquisì una sua autonoma dimensione.

L'ars antiqua si chiude nel 1320, data a cui risalgono due trattati: Ars novae musicae di Johannes de Muris e Ars nova musicae di Philippe de Vitry, che iniziarono il periodo cosiddetto dell'Ars nova.” (wikiversità - La musica nel Trecento: l’Ars Nova).

La musica cominciò ad attingere sempre di più alla creatività popolare. I musicisti si resero conto che nei canti popolari c’erano spesso gli intervalli di terza, i quali dovevano risultare tutt’altro che dissonanti: evidentemente, in modo del tutto spontaneo, non si usava la scala pitagorica.

Da tempo si conoscevano gli armonici naturali, ossia quei suoni che per motivi intrinseci all’oscillazione di una corda tesa, si producono spontaneamente insieme alla frequenza fondamentale, e che hanno frequenza 2, 3, 4, … n volte la frequenza fondamentale e che Pitagora aveva rilevato e messo in relazione alle lunghezze. Era riuscito a costruire una scala che manteneva costanti certe relazioni di rapporto ma per fare ciò, per motivi esoterici aveva privilegiato i numeri da 1 a 4, la cosiddetta tetraktis, rinunciando al numero 5 e quindi al rapporto “semplice” 5/4, l'intervallo di terza maggiore consonante, presente nel canto spontaneo.

Un suono che si può generare anche su uno strumento a corda, sfiorandolo a 4/5 della sua lunghezza, era conosciuto come “armonico”. Era certamente una conoscenza empirica perché la fisica di questi fenomeni non era ancora nata: bisognerà attendere Sauver, uno dei fondatori dell’Acustica come disciplina, che nel 1701 descrive con equazioni matematiche il comportamento dei corpi vibranti e quindi anche gli armonici naturali.

“Le frequenze di due note a distanza di terza maggiore nella scala pitagorica hanno un rapporto pari a 81/64≃1,2656, mentre l'intervallo naturale di terza maggiore (quello ricavabile dagli armonici naturali) è dato invece dal rapporto 5/4=1,25; alcuni probabilmente si accorsero che le quarte diminuite (come Fa♯-Si♭, o Sol♯-Do) che hanno un rapporto di 8192/6561≈1,2486 e quindi sono molto più vicine al naturale 5/4 = 1,125, sono più consonanti delle terze maggiori pitagoriche. Fu così che dalla fine del XV secolo si cominciarono a "temperare", cioè accordare calanti le quinte, in modo da rendere più consonanti gli intervalli di terza”.

Come accennato all'inizio, un suono "musicale" è la risultante (somma) di una serie di suoni sinusoidali (detti armonici) le cui configurazione di intensità caratterizza il timbro e le cui frequenze hanno rapporti di numeri interi. A partire dagli armonici si possono costruire gli intervalli della scala diatonica:

La non conoscenza della fisica degli armonici non impedì alla scala naturale di nascere ai tempi di Tolomeo durante il II secolo d.C, sulla base dei rapporti tra numeri interi piccoli, usati per ricavare i suoni dalle corrispondenti lunghezze del monocordo.

Come si vede i rapporti nella scala naturale sono più semplici che in quella pitagorica, il che assicura più consonanza. Ma la musica nei tempi antichi, come dicevamo, era sostanzialmente monodica, cioè fatta solo di singole melodie mai sovrapposte e, di conseguenza, la consonanza non aveva il ruolo preminente che cominciò ad avere alla fine del medioevo e che portò, nei secoli successivi, alla definizione dell’”armonia” che fu codificata da Jean Philippe Rameau nel suo “Trattato dell'armonia ricondotta ai suoi principi naturali” del 1722. La scala pitagorica si era imposta sia per i suoi richiami esoterici sia perché la musica rivestiva per gli studiosi un interesse soprattutto teorico. La scala naturale diatonica, inventata da Tolomeo, e “riscoperta” da Zarlino a metà del ‘500, fu considerata di scarsa utilità pratica, anche perché generava i due inconvenienti accennati più sopra: due tipi di tono, maggiore (10/9) e minore (9/8), e due tipi di semitono tra loro molto distanti. Tuttavia, per l’alto grado di consonanza che fornisce, è rimasta sempre sullo sfondo come termine di riferimento.

Accordatura e temperamento

La natura “esponenziale” del sistema uditivo gli permette di utilizzare un’ampia banda di frequenze (per convenzione 20-20.000 Hz), il che costituisce un valido aiuto alla sopravvivenza della specie umana (individuazione dei pericoli o delle prede, etc.). Solo nel ‘600, quando la matematica vide un forte sviluppo, si capì che le equazioni esponenziali relative alle progressioni geometriche hanno in generale soluzioni irrazionali. In base questo risulta chiaro che qualsiasi tentativo di suddividere l’ottava in parti corrispondenti a numeri razionali, cioè frazioni come rapporti di numeri interi, è destinato a fallire.

Prima della spiegazione matematica rigorosa, si sapeva già empiricamente che la divisione dell’ottava con numeri razionali non consentiva, sia pure per un “comma”, la ripetibilità dei rapporti a partire da qualunque nota. Ciò non disturbava la musica perché, come abbiamo già accenato, essa era “monodica”, ossia fatta di una sola melodia, senza suoni simultanei. Ma quando emerse la polifonia, fatta di più melodie contemporanee, il problema cominciò a porsi. Di conseguenza fin dal tardo medioevo si è cercato di individuare un “rimedio” agli inconvenienti della scala pitagorica nell’accordatura degli strumenti a note fisse, come l’organo. Nell’accordare gli strumenti occorre scegliere: o una scala basata su proporzioni precise, come quella pitagorica o quella “naturale”, che però privilegiavano la consonanza di alcuni intervalli, oppure un procedimento che attenuasse tali privilegi. Questa seconda possibilità si chiama “temperamento”, ossia l’aggiustamento dell’ampiezza (in frequenza) degli intervalli interni alla scala, finalizzato a rendere tutti gli intervalli il più possibile consonanti.

Temperamenti regolari e irregolari

Non potendo ricavare proporzioni che assicurino consonanze perfette per gli intervalli di ottava, quinta e terza contemporaneamente, occorre accontentarsi di un compromesso, che si raggiunge facendo variare i rapporti di frequenza tra singole note. Derogando sia dall’impostazione Pitagorica che da quella naturale si riesce a ottenere un compromesso fra la “purezza” dell’ottava (parametro irrinunciabile almeno fino alla seconda metà del secolo scorso, specie con la musica elettronica) e la “scordatura” o meglio “impurezza” degli altri intervalli in partenza consonanti, cioè le terze e le quinte.

Tutto sta quindi nella scelta della “ricetta” di sistemazione di rapporti suddetti. Ogni “ricetta” stabilisce il grado, per così dire, di consonanza di certi intervalli a scapito di altri, in varie proporzioni, non sempre costanti lungo la tastiera: ad esempio l’intervallo Do – Sol potrebbe essere accordato come una quinta giusta (3/2 = 702 cent circa), mentre l’intervallo Sib – Fa, che dovrebbe essere una quinta giusta anch’essa, viene accordata più “stretta”, ossia meno di 702 cent.

Alcuni temperamenti si basano su una regola generatrice, ossia la scelta di un rapporto prestabilito per l’intervallo di quinta o di terza, e sono detti “regolari”; i rimanenti invece sono detti “irregolari”, perché basati su una sistemazione che risulta “buona” all’orecchio.

Esistono perciò tanti temperamenti diversi, tanti modi di ridurre le dissonanze o di privilegiare certe consonanze; in realtà sarebbe meglio dire che esistono varie classi di temperamenti, vale a dire gruppi di temperamenti che hanno qualcosa di particolare in comune.


Temperamenti regolari

La principale classe di tali classi è quella del “temperamento mesotonico”, la cui ideazione è attribuita al veneziano Pietro Aaron nel 1523 e fa parte dei temperamenti regolari. Il tratto caratteristico di tale temperamento è la derivazione dell’intervallo detto “di tono” da quello di terza maggiore (o ditono) “naturale”, ossia 5/4. La terza maggiore è fatta di due toni, quindi il tono “meso” (medio) cercato x deve soddisfare x2=5/4 e quindi x=1/2*\sqrt{5} = 1,118 = 193,15 cent. La terza maggiore a 5/4 (invece che a 81/64) è consonante, ma il tono corrisponde a un numero irrazionale, che si può solo approssimare.

Emerge un numero irrazionale, la radice quadrata di 5, che in teoria non si potrebbe realizzare come rapporto di lunghezze, avendo infinite cifre decimali. Nella realtà pratica però qualsiasi numero viene approssimato fino alla precisione che interessa nel contesto in cui deve essere applicato, quindi la presenza del numero irrazionale non poteva preoccupare: la precisione ha il suo limite nella percezione uditiva umana, cioè nella cosiddetta JND (Just Noticeable Difference) o capacità discriminativa, in questo caso in frequenza.

I temperamenti mesotonici sono più di uno perché, oltre alla costruzione del tono come illustrato sopra, cioè posto “in mezzo” a due note che distano un intervallo di terza maggiore = 5/4 o 386,31 cent, e oltre a fornire la consonanza della terza maggiore, devono sistemare anche le quinte, che nel modello pitagorico erano consonanti e che ora dovranno diventare leggermente dissonanti; di conseguenza anche il tono posto tra la quarta e la quinta risulterà più ristretto, cioè meno di 193,15 cent . Quale criterio adottare per regolare questa lieve dissonanza? Il più diffuso è stato quello del “quarto di comma”.” (sottinteso “comma sintonico”).

Perché si chiama “del quarto di comma”? Per spiegarlo, consideriamo che le terze maggiori vengono accordate col rapporto 5/4 ossia 80/64 invece che 81/64 (terza pitagorica). Consideriamo ora un’equivalenza “desiderata” simile a quella già vista per la scala pitagorica, in cui 12 quinte sarebbero dovute equivalere a 7 ottave (3/2)12 =?= (2/1)7, ma che si è dimostrata impossibile.

L’equivalenza desiderata che consideriamo ora è quella tra 4 quinte (Do1 – Sol1 – Re2 – La2 – Mi3) ossia [ (3/2)4 = 81/16] e [2 ottave + una terza maggiore cioè (2/1)2*(5/4) = 2*2*5/4 = 5]. Naturalmente anche questa equivalenza non è verificata perché 81/16 è diverso da 5 (= 80/16.). La “differenza” tra le due frazioni è (81/16)/(80/16) = 81/80, che abbiamo visto essere proprio il comma sintonico. Per ottenere l’equivalenza “perfetta” bisognerà quindi “stringere” le 4 quinte, ossia ridurne le ampiezze. Questo si può fare un più modi; quello “equo” consiste nello “spalmare” la “differenza” di 81/80, cioè il comma sintonico, sulle 4 quinte, togliendone ¼ a ciascuna di esse. Il che è come dire che ogni quinta non sarà più 3/2 ma sarà una frazione x tale che x4 = 5 e quindi x=\sqrt[4]{5}) o 51/4 = 1,495 = 696,57 cent invece che 701,95 cent (=1,5). Si ha 701,95 - 696,57 = 5,37 = 21,50/4 cent, confermando il “quarto di comma” (sintonico). In questo modo a ogni quinta è stato “tolto” ¼ di comma sintonico = \sqrt[4]{
81/80} = 3/2/\sqrt[4]{5} = 0,9968 = 5,37 cent che si rivela una “stonatura” del tutto accettabile.

L’accordatura pitagorica e il temperamento mesotonico a ¼ di comma costituiscono accordature “regolari”, che cioè si basano su una regola generatrice applicata a tutti i suoni coinvolti. Abbiamo visto che la scala pitagorica privilegia le quinte, che sono tutte giuste ad eccezione dell’ultima del circolo, detta “quinta del lupo” che risulta più stretta di una quantità pari al comma pitagorico, ma in essa le terze risultano stonate. Mentre, all’opposto, nell’accordatura con temperamento mesotonico al 1/4 di comma sintonico si ottengono 8 (su 12) terze maggiori consonanti e quinte leggermente dissonanti, appunto di 1/4 di comma = 5,37cent.

In mezzo a questi due estremi, si possono usare altri tipi di ripartizione del comma con risultati che in certi casi vengono considerati preferibili. Troviamo quindi il temperamento Sauver 1701 (1/5 di comma sintonico), quello di Silbermann (1/6 di comma sintonico), il mesotonico che privilegia le terze minori pure (XVI secolo) al 1/3 comma; vedi https://www.youtube.com/watch?v=YioE25hCu2U

Zarlino aveva introdotto nel 1558, oltre al ¼ di comma e al 1/3 di comma, anche il mesotonico a 2/7 di comma sintonico, che privilegia sia le terze minori pure (6/5) che le terze maggiori pure (5/4), naturalmente a spese di altri intervalli.

Temperamenti irregolari: verso il buon temperamento

“Alla ricerca di una soluzione pratica agli inconvenienti del temperamento mesotonico, il tedesco Andreas Werckmeister scoprì nel 1691 che un'accordatura ciclica che contenga cinque quinte "mesotoniche" e sette quinte "giuste" (ossia "pitagoriche") chiude quasi perfettamente il ciclo delle quinte e pertanto elimina la "quinta del lupo", permettendo di suonare in tutte le tonalità. Di questo sistema furono introdotte numerose varianti, note in area tedesca come “buoni temperamenti” e oggi spesso chiamate temperamenti inequabili. Nei temperamenti irregolari certi intervalli, a parità di ampiezza nominale (come “quinta” o “terza”) hanno diversa ampiezza effettiva a seconda della posizione nella scala: ad esempio il numero dei cent di Do-Sol potrebbe differire da quello di Re#-La#.

Tra i temperamenti irregolari accenniamo ai seguenti.

Il Tartini-Vallotti (1754) si basa sulla ripartizione del comma ditonico in sei quinte (perciò più strette di 1/6 di comma rispetto a quelle pure), mentre le altre restano pure. Alcune terze maggiori sono estremamente larghe.

Il Werkmeister III (1691) Si ripartisce il comma pitagorico. Le caratteristiche principali sono che alcune terze maggiori sono pure; purtroppo le quinte da DO a MI (DO-SOL-RE-LA-MI) non sono equamente temperate e possono creare problemi nel suonare con strumenti ad arco: infatti quelle citate sono le corde di violoncelli e violini, ed una irregolarità fra le quinte può creare problemi nella musica d’assieme.

Il Kirnberger III (1779) Questo temperamento ripartisce il comma sintonico nelle quinte comprese fra DO e MI mantenendo la purezza della terza maggiore DO-MI. Mantiene i rapporti di temperamento fra le quinte “degli archi”.

Il Rameau (1726). J. P. Rameau propose due tipi di temperamento, uno per le tonalità con i diesis (in Do) e uno per tonalità coi bemolli (in Sib). Una particolarità è la presenza di terze pure; il temperamento avviene su alcune quinte allargandole (al contrario di tutti gli altri temperamenti sin qui visti). Sembra che tale allargamento potesse essere adatto al “bon goût” francese, secondo le esigenze o le necessità dell’accordatore.

Il D’Alembert-Rousseau (1752-1767). Simile al Kirnberger, sfrutta però la possibilità di avere quinte non perfettamente pure, sia più grandi che più piccole. Particolarità: una terza pura, temperamento francese molto dolce.

Si dice che “Il Clavicembalo ben temperato” di J.S. Bach (I Libro 1722, II Libro 1744) [“Das wohltemperirte Klavier”, dizione tradotta male perché in tedesco “Klavier” è una qualsiasi tastiera senza distinzione tra clavicembalo, clavicordo, liuto e organo da camera, n.d.r] fu la prima opera che ne esplorò sistematicamente le potenzialità. È tuttora oggetto di vivaci controversie fra gli studiosi quale temperamento fosse adottato da Bach, ma c'è generale consenso intorno all'idea che Bach intendesse mostrare la superiorità di una qualche variante di temperamento inequabile rispetto al temperamento mesotonico, ancora diffuso ai suoi tempi. Nei sistemi di accordatura "ben temperati", le tonalità hanno caratteri diversi tra di loro, poiché le ampiezze degli intervalli non sono costanti”. È anche possibile che Bach sperimentasse più di una variante di quei temperamenti.

Che cos’è la tonalità? È un concetto non facile da spiegare e qui lo possiamo fare solo in modo succinto. “La tonalità è un sistema di principi armonici e melodici che ordinano le note e gli accordi in una gerarchia di percepite relazioni, equilibri e tensioni” (Wikipedia). Diciamo solo che si tratta dell’organizzazione dei suoni intorno a un “centro tonale” che, in pratica è la nota da cui ha inizio una scala. Una scala è già una sequenza organizzata di suoni, caratterizzata, come abbiamo visto, da una particolare disposizione dei toni e dei semitoni tra i gradi successivi. A seconda della suddetta disposizione, la scala cambia nome. Le scale principali hanno il nome di “modo maggiore” e “modo minore”. Il modo maggiore ha la successione TTSTTTS mentre quello minore ha la disposizione TSTTSTT. Le note della scala acquisiscono una disposizione “gerarchica” dove il “capo” è la nota di inizio, detta “tonica” mentre le altre hanno un ruolo tanto più importante quanto più è consonante l’intervallo che fanno con la tonica. Quindi se la scala è Do maggiore, essa inizia con Do, la tonica (I grado); le note più importanti sono Sol (V grado), Fa (IV grado), Mi (III grado), La (VI grado), Re (II grado), Si (VII grado); la stessa importanza acquisiscono gli accordi costruiti su questi gradi.

L’”importanza” in pratica è proporzionale alla frequenza statistica delle singole note in un pezzo, che, se scritto in una certa tonalità assumono il valore di "gradi" della scala maggiore di quella tonalità. Ad esempio, in Do maggiore le note con frequenza decrescente saranno Do (I grado), Sol (V grado), Fa (IV grado), Mi, ... “Maggiore” e “minore” sono “modi” che derivano dai modi medievali, che a loro volta derivano dai modi greci. Il modo maggiore coincide con il modo ionico, il modo minore con il modo eolio. Fino al XV secolo incluso imperavano i modi antichi e il concetto di tonalità si sviluppa molto gradualmente, informando le composizioni musicali grosso modo dalla seconda parte del XV al XVI secolo; vede il massimo dell'espansione dal XVII al XIX secolo, alla fine del quale la sua applicazione comincia a entrare in crisi. All’inizio del XX secolo viene affiancata o sostituita da altre organizzazioni dei suoni, inclusa la riscoperta di modi medievali, specie nel jazz. La tonalità, ancora presente ai giorni nostri nel pop e nel rock, riduce i modi a due soli, maggiore (dorico) e minore (eolio), ma in compenso richiede la capacità di passare da una tonalità a un’altra (passaggio chiamato "modulazione") mantenendo le consonanze il meno possibile “impure”. Questo porta a cercare temperamenti più adatti a tali possibilità e flessibilità.

“Nel corso dei secoli XVIII e XIX un numero crescente di teorici e musicisti sembra considerare i vantaggi del temperamento equabile superiori agli svantaggi dovuti all'assenza di intervalli giusti. Se ancora nel 1754 Giuseppe Tartini giudicava il temperamento un inaccettabile compromesso, già nel 1709 Leibniz scriveva in una lettera a Conrad Henfling: «  Avendo un giorno considerato ed esaminato per mezzo dei Logaritmi l'antica suddivisione dell'ottava in 12 parti uguali, che Aristosseno già seguiva, e avendo osservato quanto gli intervalli equalizzati che si ottengono in tal modo approssimano i più utili fra quelli della scala ordinaria, mi sono convinto che per lo più vi si potrebbe attenere nella pratica; e benché i musicisti e le orecchie più sensibili vi troveranno qualche imperfezione percepibile, pressoché tutti gli ascoltatori non ne avvertiranno alcuna, e ne saranno estasiati.  »

Tuttavia, il temperamento equabile continuava ad essere un riferimento teorico non facilmente realizzabile in pratica. Solo verso la fine del XIX secolo furono trovati metodi pratici che permettono di realizzare con precisione adeguata un'accordatura equabile. Nei secoli XVII e XVIII diversi autori, fra cui Mersenne, Rameau e d'Alembert, stabilirono la modellizzazione fisico-matematica dei fenomeni ondulatori (e specificamente Sauver la teoria dei suoni armonici) a fondamento della teoria musicale, fornendo una spiegazione scientifica della "giustezza" degli intervalli basati su "rapporti semplici", così come erano stati costruiti da Pitagora e più ancora da Zarlino. Il concetto di “intonazione giusta” (Just Intonation), realizzata poi con "scala naturale", fu successivamente approfondito nei suoi aspetti percettivi da Hermann von Helmholtz. Nel corso del XIX secolo, contemporaneamente all'adozione generalizzata del temperamento equabile, persistono tentativi di realizzare strumenti a tastiera che producano intervalli giusti (ad esempio l'harmonium enarmonico di Bosanquet, 1876), con tasti suddivisi in modo concettualmente simile all'archicembalo descritto nel 1555 da Nicola Vicentino.”

Accordatura barocca

Pietro Righini nel suo libro “Accordature e Accordatori” (Ancona, 1979) riporta anche una ”accordatura barocca”, senza indicare alcuna data di riferimento ma associata comunque al periodo barocco. Essa conserva 8 quinte pitagoriche e solo 4 terze maggiori naturali. In compenso unifica per la prima volta i diesis e i bemolli, nel senso che Do#= Reb, Fa# = Solb, etc. I semitoni cromatici sono distinti da quelli diatonici, con i primi a 92 cent e i secondi a 112 cent.

Semitono e tono

Nell’accordatura basata sul temperamento equabile in 12 parti (12-TET), quello usato ai giorni nostri, il semitono ha un’ampiezza fissa pari a 100 cent = \sqrt[12]{2} per definizione. Ma non è così nelle altre accordature basate su altre impostazioni e su altri temperamenti, che generano semitoni diversi nell’ambito della scala. L’ampiezza del semitono dipende quindi dal sistema di accordatura.

Il semitono Sol - Sol♯ è chiamato “semitono cromatico” (o anche “unisono eccedente”) perché le due note alterate hanno lo stesso nome, mentre il semitono Sol - La♭ è chiamato “semitono diatonico” (o anche “seconda minore”).

La tabella mostra l'ampiezza dei semitoni nelle tre accordature pitagorica, naturale e mesotonica 1/4 comma.

Nel temperamento equabile naturalmente non si parla di comma: nessun intervallo segue gli armonici, e ci si accontenta di avere un'approssimazione uguale per tutti gli intervalli. Tuttavia è di uso comune fra alcuni musicisti parlare di un “comma generico” inteso come la nona parte di un tono (o la cinquantatreesima parte di ottava, che fa riferimento al 53-TET, vedi oltre), il quale è inteso anche come somma di un semitono cromatico (5 comma) e uno diatonico (4 comma).

Divisione in comma del tono da Do a Re

In realtà questa divisione del tono non ha alcuna base teorica ed è il risultato di un atteggiamento divulgativo di alcuni studiosi che, per facilitare l'apprendimento delle teorie sull'accordatura, favorirono tale approssimazione.



Un altro punto di vista: harmonic limit

Abbiamo già detto come Pitagora sia partito dalla Tetraktis, utilizzando i numeri 1,2,3 e le loro potenze per costruire le frazioni generatrici degli intervalli, ad esempio 3/2 = 31*2-1, 9/8 = 32* 2-3, etc. Pitagora ha usato 3 come numero massimo per questa operazione.

Zarlino ha esteso i numeri generatori fino a 5 e ha potuto “generare” ad esempio il 5/4. Un rapporto viene espresso con 5p*3q*2r  ; così 5/4 = 51*30*2-2. Si dice quindi che Pitagora ha usato un sistema 3-limit, mentre Zarlino ne ha usato uno 5-limit.

Nel 1930 Harry Partch ha esteso questa possibilità a un numero qualsiasi di numeri, che possono essere dispari (Odd Limit) o primi (Prime limit).

Odd limit

In “Genesis of a Music” , Harry Partch considerava solo l’intonazione con frazioni in base alla dimensione dei loro numeratori e denominatori, modulo ottave. Poiché le ottave corrispondono a potenze di 2, la complessità di qualsiasi intervallo può essere misurata semplicemente dal maggiore fattore dispari presente al numeratore o al denominatore.

Prime limit

Dato un numero primo p, il sottoinsieme di Q+ (che è l’insieme dei numeri razionali positivi) che consiste dei numeri razionali x la cui fattorizzazione ha la forma x = p1a1*p2a2... *prar con pr <= p e ai intero, formano un sottogruppo di Q+. Una scala o un sistema di accordatura usa il prime limit tuning se i rapporti di frequenza di tutti gli intervalli appartengono a questo sottogruppo.

Esempi

Temperamenti equabili

Un temperamento equabile è un temperamento musicale o un sistema di accordatura, che approssima gli intervalli “giusti” dividendo un'ottava (o in teoria altro intervallo) in parti (step) uguali. Ciò significa che il rapporto tra le frequenze di qualsiasi coppia di note adiacenti è costante, il che lo fa percepire sempre uguale poiché la progressione dell'altezza tonale viene percepita approssimativamente come il logaritmo della frequenza.

12-TET Nella musica classica e nella musica occidentale in generale, il sistema di accordatura più comune dal XVIII secolo a oggi è stato ed è il temperamento equabile a dodici toni, noto anche come 12-TET (12 Tone Equal Temperament) o 12-EDO (Equal Division of the Octave) che divide l'ottava in 12 parti tutte uguali su scala logaritmica, con un rapporto uguale alla radice dodicesima di 2 ≈ 1,05946, come già visto nella parte iniziale. Nei paesi occidentali con il termine "temperamento equabile", senza altra qualifica, generalmente si intende il 12-TET.

Confronto del 12-TET con la scala naturale (Just Intonation)

Gli intervalli di 12-TET si avvicinano ad alcuni intervalli della scala naturale. La quinta e la quarta sono quasi indistinguibili dai corrispondenti intervalli della scala naturale, mentre la terza e la sesta sono più lontani.

Nella tabella seguente, le dimensioni di vari intervalli giusti tratti dalla scala naturale vengono confrontate con le loro controparti del pari temperamento equabile.


19-TET

Il sistema 19-TET o 19-EDO ("Equal Division of the Octave") è la scala temperata derivata dividendo l'ottava in 19 parti uguali.Ogni parte rappresenta un rapporto di frequenza di \sqrt[19]{2} = 63,16 cent. È l'accordatura che permette di riprodurre il temperamento sintonico in cui la quinta giusta temperata è pari a 694.737 cent, Su una tastiera isomorfa (vedi figura sottostante), la diteggiatura della musica composta in 19 EDO è esattamente la stessa di quella in 12 EDO, purché le note siano scritte senza supporre che il diesis di una nota sia sostituibile con il bemolle della nota immediatamente sopra di essa (enarmonicità), fatte salve le note Mi# = Fab e Si# = Dob.

Tastiera isomorfa con 19 note per ottava.

La cosa interessante del 19-TET è la sua provenienza dal passato, quando il compositore Guillaume Costeley lo usò nel suo canto Seigneur Dieu ta pitié del1558, comprendendo l’aspetto “circolatorio” di questo sistema, che fu poi proposto dal teorico Francisco de Salinas, come alternativa al mesotonico 1/3 di comma, in cui la quinta è 694,786 cent, praticamente indistinguibile dalla quinta del 19-TET = 694.737 cent.

53-TET

Il 53-TET (Tone Equal Temperament), è la scala temperata che si ottiene divedendo l’ottava in 53 step (parti uguali). Ogni step rappresenta un rapporto di trequenza pari a 21/53 o 22,641 cent, un intervallo chiamato a volte “Holdrian comma”.

L'interesse teorico per questa divisione risale all'antichità. Ching Fang (78-37a.C.), un teorico musicale cinese, ha osservato che una serie di 53 quinte giuste (3/253) è quasi uguale a 31 ottave (231). Ha calcolato questa differenza con una precisione che è risultata pari a 177147/176776. Più tardi la stessa osservazione è stata fatta dal matematico e teorico musicale Nicholas Mercator (c. 1620–1687, da non confondere con Gerardus Mercator (1512-1594) che inventò un sistema di proiezione cartografica usata specie per le carte nautiche), che ha calcolato questo valore esattamente come 353/284 e che è noto come “comma di Mercator”. Il comma di Mercator ha un valore esiguo (3,615 cent) e il 53-TET tempera ogni quinta di solo 1/53 di questo comma (0,0682 cent).

Poiché una distanza di 31 step in questa scala è quasi esattamente uguale a una quinta giusta, in teoria questa scala può essere considerata una forma leggermente temperata di accordatura pitagorica che è stata estesa a 53 toni. Quindi gli intervalli disponibili possono avere le stesse proprietà di qualsiasi accordatura pitagorica, con le quinte che sono (praticamente) pure, le terze maggiori che sono “larghe”, e le terze minori che al contrario sono “strette”.

Tuttavia, il 53-EDO contiene intervalli aggiuntivi che sono molto vicini alla scala naturale. Per esempio, l'intervallo di 17 step è una terza maggiore, solo 1,4 cent più stretta rispetto all'intervallo puro di 5/4. Il 53-EDO è molto adatto per approssimare qualsiasi intervallo “naturale” con il sistema 5-limit (vedi sopra).

Altri temperamenti equabili

Sono stati studiati anche temperamenti equabili dividono l'ottava in modo diverso. Alcuni brani musicali sono stati scritti infatti in 31-TET, in 50-TET, 70-TET, ….; il sistema di toni arabi ad esempio utilizza il 24-TET, perché comprende i quarti di tono, poco distinguibili per noi abituati al 12-TET.

Un temperamento equabile può anche dividere in parti uguali un intervallo diverso dall’ottava, come la realizzazione della scala di Bohlen-Pierce, che divide in 13 parti uguali l'intervallo giusto di un'ottava + una quinta (rapporto 3/1), chiamato "tritava" o "pseudo-ottava".

Conclusione

Abbiamo passato in rassegna i principali sistemi di intonazione occidentale in uso dall’antichità a oggi. Ci siamo occupati solo degli aspetti teorici e non di quelli pratici; di essi si vede però un esempio significativo nel link associato al temperamento mesotonico 1/3 di comma.

Al di là del possibile uso di contatori di frequenza disponibili oggi a costi irrisori, il metodo base per l’accordatura si fonda sul conteggio dei battimenti che nascono dalla somma con un suono di riferimento, una volta che siano stati calcolati per via teorica.

In definitiva, la natura esponenziale della successione dei suoni,di per sé non razionalizzabile, può essere “addomesticata” o “temperata”semplicemente accontentandosi di consonanze imperfette o, se si vuole, di “quasi-consonanze”, dato che esse risultano a volte anche più piacevoli, più “movimentate“, a causadei battimenti che generano. Per fortuna, è sufficiente contenere la frequenzadei battimenti entro i 15 Hz per evitare le dissonanze crude.

Anche se ai nostri tempi prevale di gran lunga il 12 TET, da alcuni anni si assiste a un “revival” dei temperamenti più antichi che va di pari passo con l’indirizzo “filologico” dell’interpretazione musicale, teso a riprodurre la musica del passato il più possibile simile a come veniva suonata ai tempi in cui fu composta.

Nella pratica normale della musica è da tenere presente che mentre gli strumenti a tastiera sono legati al 12-TET, tutti gli altri strumenti non lo sono. Gli archi (violino, viola, etc.) hanno le corde vuote accordate per quinte giuste, quindi in partenza sono fuori dal temperamento 12-TET e tendono spontaneamente a usare la scala naturale, salvo poi doversi adattare al temperamento equabile quando suonano insieme a strumenti a tastiera o anche in orchestra, dove gli strumenti a fiato odierni sono costruiti per emettere note secondo il 12-TET. Non solo, ma l’aria che scalda gli strumenti a fiato (in misura minore anche gli altri) durante l’esecuzione, fa salire l’accordatura da 440 Hz anche fino a 444 Hz, a cui si devono adeguare anche gli altri strumenti. Non bisogna dimenticare poi l’elemento soggettivo dell’intonazione, la percezione della quale può variare da persona a persona. Il fatto che normalmente questa percezione vari di pochissimo ci dà l’idea delle incredibili caratteristiche del nostro sistema uditivo.

Appendice

Confronto tra 12_TET e le principali accordature "regolari"

Confronto tra 12_TET e le principali accordature "regolari"

Confronto tra alcuni TET e il mesotonico 1/4 di comma

Confronto tra alcuni TET e il mesotonico 1/4 di comma

Intervalli

Intervalli

Rapporti di frequenza dei 144 intervalli dell

Rapporti di frequenza dei 144 intervalli dell'accordatura Pitagorica a partire dal Re (D)

In grassetto sono gli intervalli "puri" (giusti o maggiori). Gli intervalli "del lupo" hanno sfondo grigio scuro.

Bibliografia

P. Righini "Accordature e accordatori" - Berben, Ancona

Dizionario della Musica e dei Musicisti - Utet

Storia della musica a cura della Società di Musicologia Italiana - EDT

The New Oxford History of Music - Feltrinelli

J. Pierce "La scienza del suono" - Zanichelli

A. Frova "La fisica nella musica" - Zanichelli

Wikipedia italiana e anglosassone, oltre a vari blog sparsi nella rete

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Commenti e note

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di ,

Grazie IsidoroKZ! E grazie di aver introdotto il dBfrequenza, che io non avevo ancora mai incontrato! Per inciso, la minima variazione di frequenza percepibile dall'orecchio umano (nella gamma centrale) (per suoni sinusoidali) è circa la decima parte di un semitono cioè circa 12 cent. Valori inferiori a questo che compaiono nelle teorie dei vari temperamenti sembrerebbero quindi da non prendere in considerazione. In realtà la percezione dei battimenti è un modo in cui l'orecchio "discrimina" la variazione di frequenza, ma solo su due suoni simultanei.

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di ,

Che goduria! Alcune cose le sapevo, altre le avevo dimenticate, ma buona parte le ho imparate. Bellissimo, grazie! Visto che siamo in un sito di elettronica, faccio notare che il rapporto di frequenza di un semitono corrisponde praticamente a una variazione di frequenza di 0.5dB.

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di ,

Ogni volta che butto l'occhio su questo articolo scopro errori di battitura. Me ne scuso con chi lo legge.

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di ,

Grazie Claudio per questo tuo ottimo lavoro che invoglia a conoscere i fondamenti tecnici della musica, esposti da chi non solo la conosce la musica, ma l'esercita e la ama. Hai faticato, come hai scritto nel forum, ma ne è valsa la pena.

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di ,

Clavicordo, che dire! E' bellissimo. Un tuffo nel passato ed una piacevole lettura nel presente. Ti faccio i più sinceri complimenti.

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di ,

Lavoro davvero interessante clavicordo, anche per uno che non è del ramo tecnico musicale...

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di ,

Grazie Claudiocedrone!

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di ,

Controlla qui, sono saltati alcuni spazi: TEMPERAMENTI REGOLARI... ...<>... e anche in "Che cos'è la tonalità" rivedi qui: ...<<"modo maggiore” e “modo minore”. Il modo maggiore ha la successione TTSTTTST mentre quello minore ha la disposizione TSTTSTTTSTTTTST >>... dove noto una certa ridondanza :)

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di ,

Chapeau!Bravo Clavicordo :) (P.s. Ho notato alcuni refusi ma ora sono troppo stanco per riportarli, domani te li indicherò per farteli correggere.)

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